Il nome

L’origine del toponimo non è nota. Secondo alcuni deriverebbe da nava, cioè “conca”, “affossamento”, dalla depressione del terreno in cui si trovava il primo insediamento.

La tradizione popolare difende invece un originario Novelli, dall’unione in un unico castello di nove ville, diventato Navelli dopo la partecipazione degli abitanti alle Crociate in Terra Santa, come ricorda lo stemma del paese.

La storia

VI sec. a.C., primi insediamenti ad opera dei Vestini; nell’area sotto l’odierno abitato sorgeva il vicus Incerulae.

787, prima menzione della chiesa di Cerule, l’attuale Santa Maria in Cerulis, nel Chronicon Vulturnense, il registro delle rendite e dei doni.

1092, una bolla del monastero di San Benedetto in Perillis cita il castello di Navelli, sorto secondo tradizione dall’unione di nove comunità in un’unica “villa”, intorno al X sec.

1269, Navelli partecipa alla fondazione del Comitatus Aquilano.

1423, Braccio da Montone, signore di Perugia, mette sotto assedio il castello, che si arrende ma non viene distrutto.

1456, si abbatte anche su Navelli il terremoto che colpisce il territorio aquilano.

XVI-XVII sec., il borgo si espande e si arricchisce di palazzi grazie alla commercializzazione dello zafferano, spezia mediorientale importata dalla Spagna e molto usata nella cucina rinascimentale.
1656, la peste uccide circa ottocento persone.

1703, un altro terremoto provoca ingenti danni all’assetto urbano del borgo.

Fine XIX sec., a causa della crisi della pastorizia, iniziano le prime migrazioni all’estero dei cittadini; in seguito alla creazione del nuovo sistema viario nazionale, l’abitato comincia a spostarsi a valle per maggior comodità.

Il borgo di Navelli appare all’improvviso adagiato sul colle, con le sue mille finestre che guardano a valle e sorvegliano silenziosamente la piana.

Qui passava un antico tratturo, percorso ogni autunno dalle greggi. Paese di pastori e contadini, reso ricco dal commercio dello zafferano, Navelli si racconta attraverso le pietre e le decorazioni che ne ingentiliscono l’aspetto, si perde nelle follie di archi che si alzano sui vicoli stretti, unendo le case le une alle altre, perché quando le famiglie erano numerose, si ricavavano stanze dagli spazi sovrastanti la strada.

Navelli è la vecchia scritta sul muro che rinvia a vicende passate, è il muro annerito che suggerisce la presenza del forno comunale, è il ricordo della bottega del fabbro o della cantina dove si cuoceva il mosto.

Le strade di ciottoli, le porte-bottega, le fornaci ormai spente, gli stipiti e gli architravi compongono un insieme speciale, un’opera d’arte costruita nel tempo, pietra su pietra, da mani anonime e silenziose.

La nostra passeggiata comincia dalla sommità del paese, dove ci accoglie il secentesco palazzo Santucci, sorto sulle rovine dell’antica fortezza medievale.

Si accede al palazzo baronale da un androne che conduce al cortile: sul pozzo centrale è incisa la data 1632, anno della definitiva sistemazione dell’edificio.

Due scalinate in pietra introducono all’elegante teoria di arcate a tutto sesto del loggiato superiore. Qui si aprono le stanze del palazzo che, una dietro l’altra, mostrano i segni dell’antico abitare: monumentali camini e funzionali arredi in pietra.

Dal cortile posteriore del palazzo si raggiunge la chiesa di San Sebastiano, costruita sui resti della primitiva chiesa di San Pelino, il cui campanile era originariamente la torre d’avvistamento del castello medioevale.

L’ingresso laterale si apre su una loggia ed è impreziosito da un portone di legno finemente intagliato. L’edificio fu restaurato dopo il terremoto del 1703 nelle usuali forme barocche.

Scendendo a sinistra del cortile, s’incontra Porta Castello, da dove inizia la parte più antica del borgo. Oltrepassata la porta, appaiono sullo sfondo i monti della Maiella, e di fronte via del Macello, ossia una lunga serie di scalini in ripida discesa, su cui si apre la fitta trama dei vicoli.

A est della via principale c’è palazzo Onofri, costruito nel 1498 insieme a Porta Villotta; a ovest, palazzo Cappa fa bella mostra di sé con la cappella San Pasquale; poco oltre c’è Porta Santa Maria costruita nel 1475.

Continuando in direzione sud-est si arriva a Porta San Pelino. Queste ultime tre porte furono costruite dopo il terremoto del 1456, quando il borgo ampliò le sue mura; l’unica sopravvissuta delle originarie è Porta Castello.

Il nucleo antico al suo interno racchiude angoli di storia contadina, come le tre vasche circolari (chiamate pilucce) scavate nella pietra, che servivano da mangiatoia per gli asini al ritorno dai campi.

Passeggiando, s’incontrano luoghi di vita comunitaria come i vecchi forni comunali, belle strade ciottolate come via San Pasquale, sulla quale si aprono le porte di diversi edifici nobiliari, e bizzarri particolari architettonici quali i gradini tagliati nella roccia viva o le mani scolpite nella pietra che sembrano indicare la direzione da seguire.

Fuori le mura, ma non distante dal palazzo baronale, si trova la piccola chiesa del Suffragio. La quadratura che sovrasta la finestra sulla facciata, con i simboli della Confraternita della buona morte (tibie e teschio), ne rivela l’origine di chiesa cimiteriale delle famiglie nobili.

Sempre fuori le mura, continuano a impreziosire il paese il palazzo Piccioli, che si affaccia sull’omonima piazza, il palazzo Mancini-Marchi- Piccioli con la cappella San Gennaro, il palazzo De Roccis, detto del Milionario, caratterizzato da bellissimi pavimenti a mosaico.

Muovendosi da questo palazzo, che sorge appena fuori Porta San Pelino, e scendendo una lunga gradinata, si arriva alla settecentesca chiesa del Rosario, che conserva la tela della Crocifissione del pittore veneziano Vincenzo Damini (XVIII sec.), elegante nelle forme e nei volumi, e l’organo di Adriano Fedri

(1782) custodito in un monumentale complesso ligneo, di sorprendente impatto scenografico e ricco di decorazioni con rilievi in oro.

Fuori dal centro abitato è possibile visitare la chiesa più antica di Navelli, Santa Maria in Cerulis (XI secolo) e due chiese campestri, sorte all’incrocio dei tratturi, la solitaria Santa Maria delle Grazie, rinascimentale con elementi gotici nel rosone, e Madonna del Campo.

Ricca di sorprese è, infine, la frazione di Civitaretenga, dove, poco fuori del centro abitato, si trova il monastero di Sant’Antonio, col chiostro del XIII secolo e l’annessa chiesa rinascimentale (terminata nel 1489) dal bellissimo portale.

Oltre la torre quadra medievale e gli affreschi della chiesa di Sant’Egidio, il borgo nasconde come un gioiellino il piccolo ghetto che ospitò gli ebrei dal XIII secolo fin verso il 1510, e che si stringe ancora intorno alla sinagoga abbandonata.

È un buco – ju buch, lo chiamano i locali – di pietre cadenti ma cariche di memorie, un pertugio di salvezza.

Passano i secoli e ancora, nei mesi di ottobre e novembre, nella piana di Navelli si compie il miracolo dei fiori viola, quei piccoli e delicati petali che, all’improvviso, spuntano dalla terra scura spezzando l’equilibrio giallo e rosso della tavolozza autunnale.

Bisogna vederlo allora, questo borgo: quando contro il suo elegante profilo, illuminato dal colore dorato della pietra, si stagliano i campi di velluto viola che custodiscono il prezioso zafferano, “l’oro rosso” che ha fatto la fortuna di Navelli.

La commercializzazione della spezia ha consentito di ingrandire e abbellire il paese, che ancora oggi sfoggia balconi di pietra lavorata, finestre a colonnine, portoni di legno intagliato, chiese e dimore signorili fuse in un groviglio di archi e stradine acciottolate.

Zafferano e ceci sono gli ingredienti base della cucina del territorio di Navelli. Ricordiamo, tra i primi piatti, gnocchetti e ceci, sagnette e ceci, risotto allo zafferano; tra i secondi, costatine d’agnello allo zafferano.

Ottimi, tra i dolci, i cauciunitti (ai ceci o alle mandorle) e i nocci interrati (mandorle con lo zucchero); per concludere, un buon liquore allo zafferano.

Altri motivi di apprezzamento Navelli colpisce al primo sguardo per la splendida posizione e per la luminosità delle sue pietre.

Come una piramide di case e viuzze resa dorata dalla patina del tempo, il borgo è guardato a distanza dal profilo della Maiella e dall’imponenza del Gran Sasso.

Dal punto di vista naturalistico, Navelli è considerata la “porta dei parchi”, trovandosi all’incrocio del Parco nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga con il Parco regionale del Sirente – Velino.

Lo zafferano dell’Aquila ha ricevuto il marchio dop nel 2005. L’”oro rosso” cresce a Navelli sano e purissimo ma, anche se il più prezioso, non è l’unico prodotto che caratterizza il borgo.

Occorre ricordare anche l’olio d’oliva, uno dei pochi extravergini della zona, le mandorle e i ceci, piccoli e saporiti.

Navelli è un piccolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila. Uno splendido borgo che appartiene alla Comunità Montana Campo Imperatore-Piana di Navelli. 

Un luogo ricco di identità e di storia, testimone del passato e del presente, inserito tra i Borghi più belli d’Italia.

La parte più antica del paese è caratterizzata da una ripida e scenografica scalinata sulla quale confluisce una fitta rete di vicoli di straordinaria bellezza, arricchiti dalla presenza di palazzi, archi, piccole cappelle, loggiati rinascimentali e residue porte di accesso al borgo.

Diverse sono le case-mura, erette a scopo difensivo lungo il confine esterno del nucleo abitato.

Navelli è molto caratteristico per il suo centro storico che si presenta come un tipico borgo medievale in cima ad una montagna con stradine arroccate, piccole viuzze e gradinate dalle quali si può godere di un panorama mozzafiato. 

All’interno del paese si possono visitarenumerose bellezze artistiche come l‘Eremo di San Domenico, la torre longobarda, la suggestiva Rocca medievale. 

Caratteristica del luogo sono gli archi che supportano sopra di loro un’abitazione costruita in pietra e travi di legno.

Lungo le vie del centro storico si notano molti stemmi in pietra sui portoni delle case, che raffigurano animali, fiori e volti. Interessante e assolutamente da visitare è la chiesa parrocchiale in stile romanico abruzzese.

L’edificio conserva al suo interno un dipinto in tela del 1521 raffigurante la Madonna del Rosario e l’altare di San Domenico, prezioso monumento del XII secolo scolpito in pietra. Degno di nota è l’eremo di San Domenico. 

Costruito presso il lago di San Domenico nell’XI secolo, ha un aspetto settecentesco, a capanna dove si accede da un portale a grottesche del XVIII secolo, con riquadri del miracolo del santo contro il lupo, opera di Alfredo Gentile.

L’interno è altalenante tra il barocco e il neogotico, con una statua lignea di San Domenico, e alla base dell’altare il paliotto di stucco del 1761.

Importante è anche la chiesa storica di San Michele Arcangelo, edificata nel nell’XI secolo dai Longobardi in stile romanico; sopra il portale rettangolare c’è una lunetta col Cristo Pantocratore che legge il “Libro della Vita”.

La cittadina diede i natali al monaco domenicano Santucci, il quale, portando intorno al 1230 alcune piantine di zafferano dalla Spagna al suo paese di origine, ebbe il merito non indifferente di introdurre per la prima volta in Italia la pregiata spezia “Crocus sativus“, chiamata anche ‘oro rosso’ per la sua preziosità (basti pensare che per ottenerne 1 kg. essiccato, occorre togliere manualmente gli stimmi a circa 200.000 fiori). Oggi la Piana di Navelli è celebre in tutto il mondo per la produzione di una eccelsa qualità di zafferano che da secoli, nei mesi di ottobre e novembre, riveste l’esteso altopiano di un fantastico e profumato tappeto viola.

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